Roma,09 settembre 2003
Comitato Centrale Fiom-Cgil: Commemorazione di Claudio Sabattini
Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom-Cgil
Credo che sia difficile per ognuno di noi entrare nell'ordine di idee che Claudio non c'è più, non è più tra di noi.
Il tutto si è svolto con una rapidità incredibile, nell'arco di alcune settimane.
Ci eravamo visti il 2 agosto a Bologna e Claudio non era venuto alla manifestazione a cui teneva particolarmente, anche perché Claudio - quando ci fu la bomba alla stazione di Bologna - si trovava in stazione, comunque non era venuto alla manifestazione perché stava poco bene, ma -nulla di particolarmente grave- era stato fino ad allora diagnosticato.
Avevamo discusso per tutto il pomeriggio su cosa fare alla ripresa, cosa fare a settembre, e in particolare nel mettere a punto un progetto di lavoro a cui Claudio teneva molto, quello di dare vita nel mese di settembre alla nascita di una vera e propria scuola sindacale della Fiom, attraverso uno strumento che poteva essere la Fondazione e che fosse esplicitamente finalizzato alla formazione di delegati e funzionari e, nello stesso tempo, uno strumento di ricerca e di studio sulle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro dipendente e nello smantellamento in corso del diritto del lavoro.
Era un progetto a cui Claudio teneva particolarmente, proprio a partire dalla stessa esperienza che stavamo facendo nel corso di questi mesi, ad esempio negli stabilimenti Fiat, dove ovunque si sta introducendo una nuova metrica del lavoro, nota come "tmc2", che determina un aumento dei carichi e dei ritmi del 15-20%.
La necessità, allora, di come riattrezzarci e ripensare quello che concretamente sta avvenendo nei luoghi lavorativi, per ricostruire una vera capacità di contrattazione sulle condizioni di lavoro che, nel corso di questi anni, è stata praticamente annullata.
Per noi, per la Fiom questa rimane un’esigenza, un impegno da assolvere, anche se tutto diventa più difficile senza il ruolo di direzione e di guida che Claudio avrebbe assunto all'interno di questo progetto.
Sul resto, invece, avevamo convenuto che eravamo troppo stanchi, perché era stato un anno pesante e avevamo bisogno di staccare per un po’ e poi risentirci, visto che l’indomani, cioè la domenica, andavamo in ferie: lui partiva per Minturno, il sottoscritto altrove.
Ci siamo risentiti, infatti, due giorni dopo e mi ha detto che stava male e che si faceva ricoverare.
Da quel momento, nello spazio di 20 giorni, tutto è precipitato e Claudio fino all’ultimo, fino a un minuto prima di entrare in una situazione di coma profondo, nei momenti in cui gli era possibile, nei momenti in cui ne aveva la forza continuava a chiedere cosa si profilava per le prossime settimane, se era vero che Mirafiori andava alla chiusura, cosa stava succedendo sulle pensioni. A un certo punto a me e ai suoi amici - alcuni dei quali più legati del sottoscritto all’esperienza di Claudio -, ma in questo caso al sottoscritto, ha chiesto di spiegare cosa stava succedendo nel calcio, perché vedeva delle immagini in televisione e, dato che lui non ci capiva niente sulla questione del calcio, non capiva cosa stava succedendo e che rapporto c’era tra le vicende del calcio e la situazione del governo e di Berlusconi.
Ho voluto raccontare e rendere pubblico questo episodio, soprattutto il progetto che avevamo in testa e che lui ci aveva proposto, perché in qualche modo riassume una delle sue caratteristiche fondamentali, uno dei suoi elementi profondi dell’agire sociale e dell’agire politico, cioè il tenere sempre assieme la pratica contrattuale, l’esigenza di compiere delle scelte e di assumersi delle responsabilità per le scelte che si andavano a compiere, nonché un incessante lavoro di analisi e di ricerca, per capire quello che si stava muovendo, quali erano i processi in corso, le trasformazioni sociali e politiche in atto.
La vita di Claudio, infatti, non è scindibile dalla militanza politica e sindacale; ha compiuto tutti i passaggi, dai pionieri alla Fgci, al Pci, a consigliere comunale di Bologna.
Come ci ha ricordato l’altro giorno Guido Fanti, come ha dichiarato in un’intervista televisiva, egli propose Claudio come segretario del Pci di Bologna in giovanissima età, ma la direzione nazionale del partito si oppose. Io aggiungo che forse, per quanto ci riguarda, è stata una fortuna!
Ma se è possibile individuare una fase, un passaggio decisivo nella lunga militanza di Claudio, questa la colloco nella fase che coincide con la seconda metà degli anni 60, quando inizia la sua esperienza sindacale nella Camera del lavoro di Bologna e guida l’esperienza della Sezione universitaria comunista, la famosa Suc, che si contraddistingue per essere una delle poche, se non l’unica esperienza in quegli anni del '68-69, dove una struttura del Pci ha un ruolo riconosciuto all’interno e all'esterno del movimento nella costruzione del rapporto tra il movimento degli studenti con le lotte operaie.
Quell’esperienza è stata segnata da una pratica e da una ricerca, fondata sulla critica del sistema dei paesi socialisti e della concezione leninista, nel rapporto con la Seconda internazionale, riscoprendo tutto un filone libertario e democratico che andava dalla Rosa Luxemburg a Karl Korsche, con una particolare attenzione nello stesso tempo alle esperienze e alla riflessione dei -Quaderni rossi- di Panzieri e al Filone di lavoro di Lelio Bassi.
È per questo che nel '68 la Sezione universitaria comunista, dopo gli avvenimenti cecoslovacchi, votò un documento che definiva non riformabile il sistema dei paesi socialisti, senza avere nello stesso tempo alcun particolare entusiasmo per la Rivoluzione culturale cinese. Io allora ero molto giovane, non ero universitario, ero uno studente medio della Fgci di Reggio, quindi in qualche modo ero un osservatore esterno, ma ricordo quando Claudio troncò una discussione sulla rivoluzione culturale cinese dicendo: "Non scherziamo, quando una rivoluzione culturale nasce da una delibera del Comitato centrale del partito, è destinata a concludersi con una nuova delibera del Comitato centrale."
Quell’esperienza così particolare rappresentò e ha rappresentato la fucina per la formazione di un gruppo di compagni e compagne, che hanno successivamente seguito percorsi individuali diversi, dall'impegno nel sindacato e in particolare nella Fiom all’impegno politico, ma anche a percorsi politicamente diversi tra di loro, come appartenenza politica e partitica.
Claudio iniziò in questo modo l’esperienza sindacale nella Cgil e diventò a 32 anni segretario generale della Fiom di Bologna.
Ora a me non interessa qui ripercorrere le diverse tappe della sua esperienza sindacale, che peraltro abbiamo anche diffuso ricostruendone la biografia, mi è sufficiente dire che è sempre stato in trincea, in prima linea, in tutte le diverse fasi delle vicende sociali e sindacali di questo paese, sempre con un’assunzione piena e diretta delle responsabilità che queste scelte comportavano.
Ciò che, invece, mi interessa sottolineare e mi interessa riprendere è relativo al fatto che ci sono commenti, articoli, giudizi, dentro e fuori dalla sinistra, sulla figura di Claudio, che io voglio riassumere su due blocchi di questioni.
Tutti, ovviamente, sono giudizi che partono dal dire che Claudio era una persona intelligente, un abile contrattualista ecc., dopodiché ci sono due modi diffusi all’interno e all’esterno della sinistra per ricordare Claudio: il primo è quello che, tutto sommato, usa una sorta di cronologia per dire che Claudio ha fatto delle cose buone e delle cose cattive, ha avuto dei successi e delle sconfitte, una sorta di cronologia dei diversi avvenimenti che si sono succeduti nel corso di questi decenni e che non spiega assolutamente nulla.
C’è un secondo blocco di ragionamenti e di questioni, che alla fin fine si collega al primo, che parla di Claudio come un uomo intelligente, un abile contrattualista, ma il cliché è quello di un "duro leale, ma sempre perdente", anzi, per dirla meglio, duro, leale, ma che ha portato a delle sconfitte storiche il Movimento operaio nel nostro paese.
Credo che queste siano delle sciocchezze, siano posizioni che per l’appunto non colgono e non capiscono nulla della storia che ha segnato il percorso e le scelte di Claudio.
Non voglio qui riepilogare i vari passaggi, ma voglio dire che Claudio - e il problema vero da porsi è questo - è sempre stato lo stesso, sia quando ha conquistato la mezz’ora per i turnisti, sia quando si è battuto per i 20 turni nella siderurgia, sia quando, nell’80, ha diretto la lotta dei lavoratori Fiat, sia quando - all’inizio degli anni 80 - ha fatto il Protocollo Iri con Prodi sulle relazioni sindacali, sulla codeterminazione, sia quando ritiene inevitabile e necessario l’Accordo del 23 luglio del ‘93, dopo quello che era successo il 31 luglio del ‘92, sia quando - nel ‘94 - fa un accordo con i meccanici senza 5 minuti di sciopero e successivamente arriva alla rottura con le altre organizzazioni sindacali sul terreno della democrazia.
Non sono persone diverse che opportunisticamente hanno posizioni diverse nelle diverse fasi. Se non si capisce qual è l’istanza da cui è sempre stata mossa la sua esperienza e la sua ricerca, non si capisce nulla del contributo che ha dato a noi tutti. Questa istanza io la riconduco, perché credo che non sia molto difficile, a un elemento essenziale e decisivo; come nel conflitto capitale-lavoro, si esprime la soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici come costruzione di un soggetto sociale autonomo e democratico e che, in quanto tale, interloquisce con il mondo politico, in quanto tale interviene sulle questioni di carattere generale.
L’istanza da cui è sempre stato mosso è la costruzione democratica di questo soggetto sociale, come espressione della soggettività dei lavoratori.
E leggo anche così la vicenda - perché non dirlo? - tante volte richiamata degli anni 80, dei 35 giorni della lotta alla Fiat. È bene ricordare a tutti che la posizione -estremista e massimalista- della Flm era la richiesta della cassintegrazione a rotazione, è bene ricordarci tutti che la Fiat rifiutò perfino la proposta fatta dal ministro Foschi, come mediazione in quella trattativa, ed è bene ricordare a tutti che correva voce che il giorno dopo, probabilmente la sera, il presidente del Consiglio avrebbe messo sul tavolo una soluzione definitiva che non era gradita alla Fiat.
Quel mattino, però, da un giorno all’altro, attraverso - se non sbaglio - 4 franchi tiratori, cadde il governo. Potenza della Fiat che aveva rifiutato la mediazione del ministro Foschi!
Si era alla vigilia di una probabile proposta del presidente del Consiglio, allora Cossiga, di cui circolavano i termini.
Certo, allora fu una sconfitta, ma vorrei ricordare a tutti, e forse oggi è più chiaro ed evidente per ognuno di noi, che eravamo di fronte a un mutamento di fase, era l’80, l’anno della Thatcher, l’anno di Reagan che licenzia e sostituisce i controllori di volo, l’anno in cui - e ormai c’è una grande pubblicistica che ce lo indica - il Fondo monetario internazionale, cioè gli Istituti finanziari internazionali compiono decisamente la scelta del neoliberismo.
Capisco che quando si ricostruiscono le vicende degli anni 80, la ricostruzione avvenga soltanto guardando alle dinamiche politiche, non c’è mai, viene semplicemente cancellata, la dinamica sociale di quegli anni, l’offensiva neo-liberista.
In realtà, ci fu una sconfitta e una non comprensione da parte dell’insieme del movimento sindacale nel capire la fase che si stava aprendo e quella che si stava chiudendo, di cui la Fiat rappresentava, con decine di migliaia di licenziamenti e l’espulsione di tutta la struttura dei delegati dallo stabilimento, l’indicazione della fase nuova che si andava a determinare, sia a livello sociale che a livello politico.
Non fu una sconfitta di Claudio Sabattini, ma fu una sconfitta dell’insieme del movimento sindacale, al punto tale che si preferì negare che ci fosse stata una sconfitta, pensando che il problema era possibile risolverlo individuando un capro espiatorio, individuando qualcuno a cui assegnare le responsabilità, senza riflettere seriamente su quello che era successo e su quello che significava e comportava per il futuro.
Leggo e sento ad anni di distanza che ci sono commentatori politici, esponenti politici di primo piano nella sinistra che arrivano persino a dire che la Fiat, in quella vertenza, aveva ragione e che, in realtà, per l’appunto, non era un problema di forme di lotta, ma proprio che la Fiat aveva ragione perché c’erano esigenze di rendere gestibile la ristrutturazione attraverso quel tipo di operazioni.
Io sono, per mia fortuna, figlio di un operaio delle Reggiane, che negli anni 50 fece un’occupazione che durò un anno, senza prendere mai un becco di un quattrino. Anche allora non c’era la chiusura dello stabilimento, anche allora c’era l’espulsione di una parte dei lavoratori di quell’azienda, io attendo che prima o poi qualcuno mi spieghi che anche quella lotta fu sbagliata, in quanto quella forma di lotta era assolutamente avventurista visto che si concluse con una sconfitta.
Ho voluto soffermarmi sulla vicenda dell’80 perché lo stesso Protocollo Iri, alcuni anni dopo, quello della codeterminazione, nasceva proprio dalla consapevolezza che si aveva alle spalle una sconfitta che avrebbe pesato per molto tempo. Il Protocollo Iri, quello poi definito della codeterminazione, poteva rappresentare una linea democratica di assetto dei rapporti tra i diversi soggetti sociali e, in qualche modo, anche di tenuta rispetto alla fase che si era aperta.
Ma anche quella fallì, la codeterminazione non è mai stata possibile perché la controparte non era più interessata a ricostruire qualsiasi rapporto di relazioni sindacali degne di questo nome.
Potrei continuare con l’esperienza fatta successivamente nell’ufficio sindacale internazionale della Cgil, il fatto che Claudio lavorò per l’adesione alla Cisl internazionale e in particolare con rapporti molto intensi sulla questione palestinese, ma ciò che mi interessa riprendere, sempre entro quel filo di ragionamento, è che anche in questo modo fu vissuto il 23 luglio ‘93, dopo l’accordo del ‘92.
Capisco che ci sono posizioni e diverse valutazioni, ma non è questo quello che mi interessa, ma tentare di capire un percorso.
Un percorso che lo riporta a Segretario generale della Fiom nel ‘94 e da lì riparte Claudio con una prima pesante esperienza: l’accordo di Termoli, o meglio, quell’accordo bocciato dai lavoratori di Termoli attraverso un referendum.
Molti forse si ricorderanno cosa è successo su quell’accordo, si mossero tutti contro il fatto che quei lavoratori non accettavano nuovi turni che avrebbero comportato nuove assunzioni, nuove occupazioni ecc.
Claudio andò a Termoli, lavorò a far sì, attraverso anche delle piccole modifiche perché in realtà erano piccole modifiche, che l’Assemblea dei lavoratori in quel clima di assedio in qualche modo approvasse quell’accordo, ma, come ci ha detto in una recente intervista e come ci ha ripetutamente fatto sapere, venendo via da Termoli disse: "Mai più un accordo senza il voto dei lavoratori, mai più firmerò un accordo senza che questo sia sancito democraticamente dal voto dei lavoratori".
Alla fine quell’accordo fu fatto e fu un accordo unitario, ma il rapporto con i lavoratori ad anni di distanza è ancora molto difficile.
Ho avuto la possibilità di andare a Termoli non molto tempo fa a fare una riunione, non sono riuscito a discutere d’altro se non dell’Accordo del ‘94, di quello che era successo nel ‘94, perché era successo, perché erano stati costretti in qualche modo a subire quell’accordo.
Certo, insisto, l’accordo era unitario, so però che è entrato in crisi il rapporto con i lavoratori.
A partire dall’iniziativa di Maratea, nel ‘95, Claudio definisce un percorso, sempre dentro quel filo di ragionamento che tento di proporvi, in risposta al fatto che - anche a seguito degli avvenimenti dell’89 - il neoliberismo e la sua affermazione universale aveva avuto un’accelerazione tale che l’offensiva sui diritti, sui contratti, sul ruolo stesso del sindacato, cioè sulla possibilità di esercitare un ruolo contrattuale, sarebbe stata assolutamente definitiva.
Inizia da lì un lungo percorso, da quell’iniziativa, da quel convegno di Maratea che porta ad assegnare e a porsi il problema di come rilanciare autonomia e democrazia, come costruzione del soggetto sociale a cui prima mi richiamavo, a fronte di un’offensiva che avrebbe avuto queste caratteristiche e avrebbe travolto anche l’Accordo del 23 luglio.
È anche da lì che derivano le scelte fondamentali che poi la Fiom ha compiuto successivamente, perché è da lì che deriva l’analisi che porta la Fiom, immediatamente, a essere partecipe del movimento internazionale di critica alla globalizzazione, perché stava dentro quell’analisi dei processi che si stavano determinando, per cui la Fiom fin dall’inizio fu parte di questo movimento, individuando anche nella guerra un elemento strutturale e permanente delle condizioni internazionali.
Qui dico, per inciso, visto che si scrivono tante sciocchezze sul suo carattere, che Claudio tutte le volte che vedeva per televisione immagini di guerra, e non film, era preso dall’ansia, non riusciva a reggere e spiegava a me e ai suoi amici che questo era dovuto al fatto che, avendo passato alcuni anni della sua infanzia in una base gappista, a Bologna, poiché il padre era un gappista, lui sapeva bene che la guerra per i bambini era una cosa che li avrebbe segnati per tutta la vita e la sua repulsione era tale che non si riusciva a vedere in compagnia le immagini di guerra vera, perché questo gli determinava uno stato di ansietà.
La Fiom, quindi, fin dall’inizio compie questa scelta e individua nella democrazia, nel voto dei lavoratori l’elemento centrale e decisivo per reggere e ricostruire una dimensione nuova e diversa.
La scelta della democrazia, e avete sentito quello che ha detto nel comizio in piazza (video proiettato prima dell’intervento), per la Fiom è una scelta irreversibile di identità stessa della nostra organizzazione, così come l’abbiamo conosciuta nel corso di questi anni.
Io non capisco che cosa significa dire che la Fiom è sconfitta e che sta subendo ulteriori sconfitte, la Fiom sarà sconfitta quando i lavoratori sconfiggeranno la Fiom, non altri soggetti.
Noi siamo tra coloro che continuiamo a chiedere e non temiamo alcuna verifica democratica con i lavoratori, quindi questo elemento centrale, decisivo, che ci viene lasciato in eredità è un elemento che ormai è parte identitaria della nostra organizzazione.
In questo percorso Claudio si è sempre speso in prima persona e la sua coerenza e la sua rigorosità non sempre sono state accettate all’interno dell’organizzazione, era persino difficile muoversi. In questo caso io, lui e altri, non la Fiom, avevamo pensato di mettere in piedi - anche qui - un progetto, un movimento, che fosse anche momento di analisi, di libera discussione, di ricerca, a partire dalla centralità del lavoro dopodiché tutti ci hanno spiegato che volevamo fare un partito e che stavamo utilizzando la Fiom per fare questo.
Se c’è una cosa estranea a quello che pensava Claudio, ma in questo caso posso dire anche il sottoscritto, è l’idea di costruire un altro partito rispetto alla situazione esistente.
Mi sembrava persino difficile muoversi perché Claudio era Claudio e tutti pensavano: "chissà quale strategia, quale gioco, quale misteriosa operazione c’è dietro a questa o a quest’altra mossa!"
Il suo spirito, però, di servizio e di militanza lo ha sempre portato a non aprire polemiche sulle questioni di carattere personale, si è sempre rifiutato di fare della sua questione un elemento di scontro politico o di dibattito politico interno.
Il suo spirito di servizio all’Organizzazione da questo punto di vista era illimitato, così come, però, sosteneva con assoluta fermezza e determinazione le sue battaglie.
Claudio non amava e non ha mai amato far parte di nessuna corrente e di nessuna corrente organizzata, perché lui diceva: "Io sono un uomo libero, nel dibattito all’interno dell’Organizzazione non amo perseguire altre strade".
Ora, compagne e compagni, anche in questo ultimo anno - perché non dirlo, perché sottacerlo - Claudio ha avuto delle profonde amarezze. Quando abbiamo capito che la proposta della Segreteria della Cgil nazionale di proporlo come segretario generale della Sicilia della Cgil non trovava accoglimento perché era stata bocciata nella consultazione, secondo - mi si permetta di dirlo - la ridicola tesi che doveva essere un siciliano, quando abbiamo capito che la consultazione aveva dato un esito negativo abbiamo convenuto, come era suo stile, che non si apriva nessuna polemica.
Certo, a Claudio era subito venuto in mente anche un’altra storia; all’inizio degli anni Ottanta quando fu proposto non come segretario generale, ma come membro della segreteria regionale della Calabria, anche allora fu bocciato; gli venne in mente anche quella vicenda all’inizio degli anni Ottanta, ma ci abbiamo messo due minuti a ragionare sul fatto che la partita andava chiusa immediatamente, che la Fiom gli avrebbe fatto una proposta e lui rispose dicendo: "Io andrei anche in Sicilia a fare il segretario della Fiom, perché voglio fare un’esperienza diversa da quelle che ho fatto nell’area del Nord", dando in questo modo la sua totale disponibilità, per una esperienza che lo ha portato a dirigere importanti vertenze, da quella di Termini Imerese a quella dei ragazzi e delle ragazze dell’Lts.
Ha avuto, però, un’amarezza anche rispetto alla Fiom, alla sua Fiom. Claudio era rimasto amareggiato per l’ultimo Comitato centrale, non tanto per le conclusioni di quella discussione, ma per i toni e le aggressività che si erano espresse, come se qualcuno volesse ritirarsi dalla lotta contrattuale.
Ora, vedete, a me rimane il rammarico di una lettera che so che Claudio stava scrivendo, la stava scrivendo al Comitato centrale per spiegare, visto che non le ha mai spiegate, le ragioni delle dimissioni dal Comitato centrale e dalla Direzione, ma nello stesso tempo per confermare il suo impegno totale dentro la Fiom, nella Fiom e credo nella sua disponibilità in una fase successiva a un suo rientro negli organismi dirigenti, tanto è vero che stavamo ragionando sul progetto di scuola che prima ho richiamato.
Ora - e ho veramente concluso - faccio solo due considerazioni: Claudio non scriveva mai o scriveva poco; credo che la Fiom debba impegnarsi a fare un lavoro di raccolta e di ricostruzione di tutti gli interventi, le relazioni che Claudio ha fatto nel corso di questi anni, non soltanto nella più recente militanza di direzione della Fiom, ma complessivamente nell’arco della sua vita.
Credo che raccogliere in questo modo i suoi contributi che di volta in volta ha fornito alla nostra organizzazione sia non solo necessaria, ma utile per le discussioni che affrontiamo, per le scelte che dobbiamo compiere.
Infine, concludo con un ricordo personale, ricorrente. Ho già detto che non riesco ancora a capacitarmi del fatto che Claudio non ci sia più, non ci sia più la sua presenza e allora a me rimane il ricordo di quelle lunghe serate, che in realtà arrivavano alle prime ore del mattino, molto frequenti, dove - casomai - a tarda notte, visto che eravamo ambedue un disastro nel preparare il mangiare, ci arrangiavamo un po’ con le scatolette, insomma, quello che riuscivamo a mettere assieme, però poi poteva succedere che a tarda notte venivamo interrotti, lo capivamo dal fatto che la porta di casa era soggetta a delle robuste pressioni, non si capiva se per abbatterla o per aprirla, perché stava arrivando Evaristo Agnelli che rumorosamente entrava e a quel punto ci copriva di insulti e inveiva perché considerava inconcepibile che si potesse mangiare in quel modo e ci faceva delle scene a cui Claudio spesso rispondeva facendo delle lezioni che partivano dall’antica Grecia, a cui Evaristo reagiva non sempre sportivamente.
Io lo ricordo così e lo voglio ricordare anche in questa dimensione, sapendo che l’eredità che Claudio Sabattini lascia a noi tutti è patrimonio dell’insieme dell’organizzazione.
Simone Sabattini
Chi di voi ha sentito il babbo parlare da un palco sa che lo avrebbe fatto a braccio perché la cosa che più gli stava a cuore era guardarvi negli occhi e assicurarsi che le sue parole fossero ascoltate e intese. Io questo non lo farò, non solo perché non sono in grado, ma anche perché credo che tra voi, che in gran parte siete sindacalisti Fiom, e io, che ho condiviso con voi il mio babbo, non ci sia bisogno di certe rassicurazioni.
Queste poche parole che oggi intendo rivolgere sono innanzitutto e soprattutto un ringraziamento a Gianni Rinaldini e alla Fiom, ma a tutto il sindacato, perché non c’è Camera del lavoro, struttura e Rsu che non abbia voluto farmi sentire il proprio affetto in questo ore.
Questo, che potrebbe apparire un fatto formale, è per noi sostanza. Non è per ragioni di plagio, che non avrebbero senso, che definisco gigante l’affetto del segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che vi ha rappresentato al meglio al mio fianco durante le esequie.
Per questo lo voglio e vi voglio ringraziare tutti, perché siete riusciti, alcuni di voi, al di là di loro stessi, a dare un senso a un fatto che invece non ne ha. È impresa grande, questa.
Non sono io che oggi può raccontarvi il sindacalista o il politico, ma so che voi non volete questo da me, voi vorreste sapere dell’uomo, capirete -però - che della riservatezza il mio babbo aveva fatto una ragione di vita, in quanto la sua libertà, come quella dei suoi metalmeccanici, passava attraverso piccole e grandi cose.
La libertà e la giustizia, mi aveva detto, sono beni supremi, una cosa però vorrei dirvela. Il mio babbo era una persona fragilissima, non tanto per carattere o inclinazione, tutt’altro, ma per scelta; chi, come lui, aveva deciso di "praticare la giustizia" sapeva che il rischio di finire in pezzi era quotidiano, ha affrontato con coraggio tutte le situazioni e con il suo lavoro ha permesso che vi fosse sempre, quando c’era anche lui a decidere, una posizione moralmente ineccepibile; per chi ha lavorato con lui e contro di lui non è poca cosa.
Di tutto quello che ho letto e ascoltato in questi giorni c’è un pensiero che vorrei commentare insieme a voi; molti mi hanno guardato negli occhi e mi hanno rivolto presagi funesti sulle sorti delle battaglie che a Fiom combatte per tutti noi e sulla Fiom stessa, qualcuno si è perfino spinto a dire che con lui è morto l’ultimo sindacalista.
Avevo ripromesso a me stesso che non avrei chiesto nulla in queste circostanze, perché il babbo per sé non aveva richieste di sorta, ma invece un’eccezione vorrei farla: vi chiederei di smetterla con questa sciocchezza e di cominciare a dirmi, come ha già fatto qualcuno, che l’ultimo sindacalista deve ancora nascere, cosicché anche io possa continuare a vivere almeno un pezzo della vita di prima.
Credo per questo che il saluto migliore sia augurare a tutti voi un buon lavoro.
Guglielmo Epifani - segretario generale della Cgil
Ho avvertito con la mancanza di Claudio, la sua scomparsa così tragica, e nelle riflessioni delle prime ore che poi via via si sono consolidate un imbarazzo perché non è facile poter ricostruire serenamente e seriamente tutto il contributo e tutta la vita politica e sindacale di Claudio senza un lavoro attento di ricostruzione e di definizione.
E’ lunga la sua storia politica, lunga la sua storia sindacale, tante sono le stagioni e tanti sono gli avvenimenti affrontati e passati, e molti sono i punti di lavoro e di direzione che Claudio ha svolto; in più, come ha detto bene Gianni, Claudio scriveva poco, prevalentemente le relazioni e pochissimi articoli.
Non credo che fosse un contributo alla pigrizia, mi sono convinto che invece, fosse altro: la sua grande capacità di parola, la sua grande capacità di espressione, la forza dei suoi concetti si faceva difficoltà a contenerli ed a contenerli in un testo scritto.
Ho voluto, però, subito con un articolo molto breve su "L’Unità" affermare un punto che Gianni ha ripreso con molta forza, e giustamente, e che credo sia essenziale chiarire immediatamente.
La figura di Claudio Sabattini non può essere né ridotta, né definita solo nell’ambito della vicenda della FIAT del 1980 e non può essere, quindi, definita o racchiusa nella metafora di una sconfitta o come esponente di una classe e di una idea della rappresentanza sociale antica e tutta superata dalle trasformazioni.
L’ho fatto perché lo credevo, perché lo credo e perché mi sono persuaso, andando con la memoria agli anni trascorsi con Claudio, ed analizzando le fasi che Claudio ha vissuto nella direzione della CGIL e della FIOM, che il suo contributo ha semmai il segno opposto, quello di una ricerca continua, quello della curiosità che non si ferma, quello della complessità.
Non a caso tra le grandi qualità di Claudio c‘era quella che lui sapeva ascoltare ed amare le persone.
Se questo è vero, ed io credo che sia vero, il problema che abbiamo oggi e che avranno gli storici è un altro: provare a trovare quel filo che lega passaggi spesso a prima vista non omogenei tra di loro e qualche volta in contrasto.
Cosa lega, ad esempio, quella parte del discorso del XII Congresso, siamo nel ’91, che Claudio tiene quando afferma che la democrazia ed il mercato debbono essere punti di riferimento e che bisogna aprire la prospettiva della codeterminazione e della riformabilità dell’impresa capitalistica al Sabattini della Resistenza e del conflitto.
Sabattini, lo ha ricordato Gianni, soprattutto nel suo lavoro confederale che dura 10 anni tra incarichi in Confederazione a Roma ed incarichi alla direzione della CGIL del Piemonte, è l’uomo che di volta in volta contribuisce a dare un contributo fondamentale alla politica della codeterminazione, all’ingresso della CGIL nella CISL internazionale, alla stesura ed alla definizione del protocollo IRI, alla ricerca di una formalizzazione delle regole.
Claudio, come ho già avuto modo di dire è decisivo nel far passare ed approvare in CGIL il protocollo di luglio del 1993.
E’ evidente già da questo che in Claudio era forte l’idea dell’importanza del contratto, dell’accordo e quindi - a maggior ragione - del rispetto degli accordi sottoscritti.
Il suo intervento nel Congresso del ’96 è tutto su questa impostazione: l’accodo del ’93 è stato fatto, l’accordo del ’93 va rispettato al centro ed in periferia e per tutte le categorie.
Per questo davvero io penso che Sabattini non debba essere annoverato mai in nessuna delle sue attività o momenti di lavoro come un estremista, Claudio, semmai, è stato in molti atteggiamenti ed in molte posizioni una figura dai tratti radicali, o se permettete è meglio una figura dal carattere intransigente.
Claudio passa dagli anni Ottanti, dall’idea forte di una riformabilità del sistema e delle regole del mercato ad una idea più negativa, dove l’impresa tende a mercificare il lavoro ed a togliere di senso e di responsabilità i lavoratori.
Come diceva con un’ironia molto sottile: "Si chiede senso di responsabilità, ma non si chiede la responsabilità di decidere ai lavoratori".
E’ la critica che poi porta Claudio ad una critica severa della globalizzazione senza regole, alla svolta americana degli ultimi due anni, al suo ripudio molto fermo nel tempo di ogni logica di guerra.
Questo passaggio si svolge a metà egli anni Novanta, quando Claudio vede tramontare l’idea e la sfida della qualità ed affermarsi una idea di comando, di riduzione dei diritti e dei costi ed una idea della competitività in cui il lavoro diventa sempre più oggetto.
In questo passaggio la FIAT diventa per Claudio davvero il paradigma di una svolta che poteva esserci, quella sperata alla fine egli anni Ottanta e che i fatti, invece, si incaricavano di negare.
In questo passaggio la domanda fondamentale che Claudio si pone e che naturalmente, passando gli anni, diventa via via più pressante ed anche più difficile è come ridare autonomia, soggettività, responsabilità e funzioni contrattuali al lavoro.
Per Claudio il lavoro è sostanzialmente il lavoro industriale e per molti versi il lavoro operaio, ma Claudio non può essere configurato come un operaista.
Già negli anni Ottanta, intervenendo ad una importante Conferenza delle grandi fabbriche, il tema del suo intervento è tutto volto all’attenzione verso i quadri, verso i tecnici, verso i ricercatori ed anche il lavoro di incubazione che a Bologna con la FIOM lui svolge sulle 150 ore e la formazione continua dei lavoratori ha il segno di una operazione di formazione rivolta a tutti, non soltanto agli operai.
Questa ricerca della soggettività, dell’autonomia che lega la sua passione, il suo rigore, il suo studio sui problemi dell’organizzazione del lavoro, dell’organizzazione della produzione, del governo dell’impresa, della democrazia industriale e della democrazia economica; la sua attenzione ai processi tecnologici ed alla innovazione di ciclo e di processo, tutta questa ricerca ha, come fondamento, la ricerca di una nuova soggettività del lavoro.
Per Claudio, il Sindacato è una funzione alta ed importante ed è un potere, è una funzione ed un potere che debbono ridare centralità antropologica e culturale al lavoro.
Sta qui, come per il lavoro, la sua difesa per l’autonomia del Sindacato della FIOM e della CGIL.
Anche il termine dell’indipendenza che Claudio a partire dagli anni Novanta usa e definisce non va visto nella sua connotazione, ovviamente negativa perché si è indipendenti quando non si dipende, mentre si è autonomi quando si affermano le proprie leggi e le proprie regole, ma per lui quel termine indipendenza veniva mutuato, come mi è stato ricordato, dall’idea che nella Costituzione viene assunta per la magistratura, un ordine indipendente, dove la cosa che più colpisce me, che ho visto quel termine indipendenza, lo dico con franchezza, con grande perplessità non è tanto in riferimento all’indipendenza, quanto il riferimento all’ordine perché questo postula per Claudio una idea alta ed istituzionale del Movimento sindacale e della funzione sindacale.
Ed è riflettendo anche su queste cose e sulla complessità che, come si vede, va al di là di quello che normalmente siamo anche noi portati a decifrare o a ricordare che ho provato a trovare quali fossero quelle parole chiave, quei concetti chiave che possono legare questa straordinaria evoluzione personale e politica.
Le due parole chiave per Claudio sono: libertà e democrazia; lo accompagnano sempre molto più dell’eguaglianza, molto più della giustizia sociale; in tutti i suoi interventi, in tutte le cose che scrive e per ultimo, come dirò, nell’ultimo intervento all’ultimo Congresso della CGIL queste sono le due parole che accompagnano in suoi sentimenti e le sue espressioni.
Si capisce la libertà, dalla sua biografia, dalle cose che Gianni ha ricordato, che Simone ha voluto ricordate, i suoi studi, la sua tesi di laurea, la scelta non casuale di fare questo studio su Rosa Luxemburg; la posizione presa nel ’56 e nel ’68, l’irriformabilità del sistema sovietico o anche la straordinaria partecipazione alla svolta di Occhetto.
Ma c’è di più. Per Claudio il rapporto di lavoro è sostanzialmente individuale e diventa collettivo attraverso il Sindacato, ma sempre - come teneva a dire - basato su un potere individuale, un potere fondamento di diritto e fondamento di libertà.
Non a caso, ripeteva, lo Statuto è lo Statuto dei diritti dei lavoratori e non lo Statuto dei diritti del lavoro.
La seconda parola è democrazia. Ha detto Claudio, credo in un intervento anche qui in un Congresso: "La mia generazione, il pessimismo degli ultimi anni non ha lasciato molto ai giovani, ma una cosa essenziale sì, ed è la democrazia", o quando afferma - siamo al Rimini dell’anno scorso - "bisogna contrastare il governo Berlusconi perché vuole liquidare la democrazia, il sistema parlamentare, l’uso delle deleghe, la riduzione del potere dell’opposizione, togliere al lavoro qualsiasi autonomia e qualsiasi diritto."
Così come è la democrazia la chiave di volta della sua critica ai processi di globalizzazione e di internazionalizzazione. Chi decide a livello internazionale? E per conto di chi? Con quale mandato, con quale legittimità?
Ed è la democrazia, come sappiamo, il fondamento per Claudio dell’unità e del pluralismo sindacale. Per lui la democrazia era quello che diceva Churchill: "contare le teste senza romperle".
Per lui una unità fondata sulla democrazia era l’unica via che avrebbe impedito una deriva settaria o ideologica del confronto tra i diversi pluralismi sindacali, e con la democrazia il suo corollario, il principio di maggioranza, un principio di maggioranza da lui sempre affermato, sostenuto e rispettato anche nella vita interna della nostra Organizzazione.
Anche qui pochi ricordano oggi il contributo fondamentale che Claudio dà, con il gruppo dirigente di allora, a riscrivere le regole della democrazia formale della CGIL dopo la fine delle componenti di origine partitica e molti sanno e ricordano di come di fronte all’affermazione del principio di maggioranza Claudio accettava disciplinatamente quel responso e quella scelta.
L’ultima vicenda siciliana, come ha detto Gianni, è l’ultima testimonianza di questo suo costume di vita e di questa sua scelta di militanza nell’Organizzazione.
Anche il Claudio politico vive le stagioni che si sono avvicendate in questi anni. Ho già detto dell’entusiasmo per la svolta di Occhetto che per lui segnava la conferma definitiva di quella irriformabilità di cui aveva parlato tanti anni prima.
E’ vero che negli ultimi anni la sua critica, il suo distacco erano rispetto al partito di appartenenza cresciuti, ma va detto che ancora questo anno aveva rinnovato la tessera del suo Partito.
Lo aveva trovato, invece, molto convinto la stagione della CGIL, sostenitore convinto dell’apertura ai Movimenti ed ai giovani e convinto sostenitore di una critica forte della globalizzazione.
C’è qui una cosa importante dal mio punto di vista e secondo quello che io penso. La critica che fa Claudio alla globalizzazione muove da due premesse assolutamente giuste: il riconoscimento della diversa funzione del tempo che la globalizzazione propone e si tratta di una scelta anche culturale importante perché siamo tutti attratti dalla dimensione spaziale che la globalizzazione riduce, mentre l’effetto fondamentale è sul senso e la conseguenza del tempo e la pressione che aumenta sulle persone, facendole diventare sempre più insicure e sempre più oggetto.
Infine, c’è l’uomo, la persona, le sue caratteristiche. Un uomo che abbiamo conosciuto tutti deciso, duro, a volte anche spietato nelle proprie certezze, ma anche capace di entusiasmarsi, di trovare curiosità alla sua età, e mi ha fatto molto sorridere sentire dalle compagne e dai compagni e dalle compagne della FIOM e ella CGIL siciliana l’idea che Claudio ogni tanto li chiamasse e li interrogasse su questo o quello aspetto della storia, su questo o su quello aspetto della filosofia; un uomo ed una persona che non ha mai rifuggito le proprie responsabilità, un uomo severo, severo anche con sé stesso quasi fosse, come una volta si era definito, un abate.
Un uomo di grande rigore morale, di grande disinteresse personale, rispettoso delle regole, non ha mai attraversato - è stato giusto dirlo - un uso personale della polemica sindacale o politica, ed un uomo che per quanto legato fortissimamente ad una idea forte di indipendenza e di autonomia della FIOM è stato insieme un tenace sostenitore dell’idea del Sindacato generale e del Sindacato di programma.
Ho trovato da questo punto di vista una conferma nelle ultime parole con cui chiude il suo intervento nell’ultimo XIV Congresso; rivolto alla CGIL dice: ""e noi perdessimo la fiducia dei lavoratori e delle lavoratrici la CGIL non sarebbe più quell’Organizzazione, il principio fondamentale della quale è la giustizia ed il cui problema fondamentale è come fare avanzare i lavoratori sulla via del progresso, della democrazia e della libertà".
Questo e molto altro è stato Sabattini per a FIOM e per la CGIL e naturalmente non possiamo noi tutti che essere orgogliosi di quello che Claudio ha fatto al pari dei tanti compagni o compagne che sono scomparsi ancora in questi mesi e che con lui - ognuno secondo le proprie capacità, culture e responsabilità - hanno contribuito a fare la CGIL come oggi essa è: forte, autonoma, pluralista, capace di assumersi le proprie responsabilità e di rappresentare per molti una speranza ed una presenza importante.
Una CGIL non chiusa, non autosufficiente, una CGIL alla ricerca continua di come rappresentare al meglio e di come incontrare al meglio tutte quelle persone che hanno un bisogno o un diritto negato, una CGIL che non considera persa per sempre, anche quando tutto sembra essere compromesso, quel bisogno di unità che dà forza alla rappresentanza ed ha segnato la fase più alta di democrazia e di forza del Movimento sindacale italiano."